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L’insegnamento dei Pompei

Da tempo si erano manifestati segnali di avvertimento. I fiumi e i pozzi si erano improvvisamente prosciugati, in particolar modo quelli più vicini al Vesuvio, che svettava nelle vicinanze. Alcuni contadini avevano attribuito l’improvvisa scomparsa dell’acqua al torrido clima di fine agosto. Non si erano resi conto che al di sotto della superficie terrestre l’acqua stava evaporando a causa del costante aumento del calore.

Nel maestoso golfo di Napoli il mare aveva iniziato misteriosamente a ribollire in alcuni punti a causa del calore sotterraneo, che stava facendo gorgogliare delle bolle di gas fino alla superficie. I pescatori rimanevano perplessi a quella vista e mormoravano tra di loro.
Qua e là anche il terreno aveva iniziato a brontolare e a tremare; lo stesso Vesuvio sembrava lamentarsi e brontolare di tanto in tanto.
Un altro fatto inquietante era che molti animali – cani, gatti, topi e ratti – avevano iniziato ad abbandonare la città di Pompei. Stava accadendo qualcosa di strano. La gente si domandava che cosa potesse significare tutto questo.
Sotto di loro, un mostro sconosciuto si stava risvegliando. Era una città costruita sulla pietra.
Alcuni secoli prima, i coloni che per primi giunsero in quell’area furono felici di aver trovato una posizione così piacevole per costruire la loro città. La Baia di Napoli sul Mare Mediterraneo forniva pesce in abbondanza; il terreno nelle vicinanze, ricco e scuro, prometteva ottimi raccolti, specialmente se associato al clima caldo della zona; il fiume Sarno offriva abbondante acqua fresca da bere; mentre il porto rappresentava un rapido accesso per le navi e per la fiorente rete commerciale della regione.
Un’imponente montagna, successivamente denominata Vesuvio, si stagliava nelle vicinanze. I suoi fianchi coperti da pinete fornivano il legname  per costruire case, negozi e ville. Un vasto altopiano roccioso, che si estendeva verso il mare, offriva ampi spazi pianeggianti, ideali per la crescita di una città, nonché abbondante pietra per la costruzione di edifici.
I coloni che si stanziarono su quell’altopiano non si accorsero che stavano costruendo la loro città sopra un’antica colata lavica, che copriva tutta la zona partendo dall’alto Vesuvio, il quale si trovava a più di nove chilometri di distanza.Una prosperità radicata nelle catastrofi del passatoNei secoli successivi la città continuò ad espandersi sull’altopiano, passando di dominazione in dominazione negli anni, dai Greci agli Etruschi e ai Sanniti, fino a giungere poi sotto l’influenza di Roma come città alleata nel quarto secolo a.C.
Dopo essersi ribellata a Roma nel 90 a.C., Pompei divenne una colonia dell’Impero Romano, che si stava allora espandendo, e i suoi abitanti ne divennero cittadini; la regione rifiorì sia come nodo di interesse commerciale ed agricolo sia come luogo di villeggiatura.
La città aveva il vanto di possedere delle lisce strade lastricate, un anfiteatro che poteva ospitare fino a 20.000 spettatori durante le sfide tra gladiatori, due ampi teatri per rappresentazioni e concerti, negozi di ogni genere, vigneti e giardini ben curati, un enorme foro e molti edifici a più piani.
Come avveniva in molte città romane, i Pompeiani avevano l’abitudine di rilassarsi nei numerosi ed ampi bagni termali pubblici, riccamente adornati e dotati di saune, di vasche di acqua calda o fredda per immersioni, nonché di un’ampia piscina per nuotare.
Gran parte della ricchezza della città era dovuta alla ricchezza del suo terreno, tanto fertile da far crescere ben tre raccolti di grano in un solo anno. I filari dei vigneti che solcavano il paesaggio fornivano l’uva per la produzione di un noto vino locale. Le piantagioni di ulivi sui fianchi inferiori del Vesuvio offrivano tonnellate di olive, da consumare come alimento o per la produzione di olio. I pascoli al di fuori della città nutrivano enormi greggi di pecore, che alimentavano la fiorente industria della lana.
Quella gente non comprese che quel terreno fertile, dal quale dipendeva in gran parte la loro prosperità, era il risultato delle passate eruzioni vulcaniche del Vesuvio.La dolce vita di Pompei

In generale a Pompei si conduceva una bella vita. Il grande oratore romano Cicerone aveva una villa a Pompei; il suocero di Giulio Cesare ne possedeva una nella vicina Ercolano. Alcune ville erano tanto grandi da includere un intero isolato.
La maggior parte delle ville erano costruite attorno ad un cortile centrale aperto, spesso messo in risalto da una piscina e, a volte, da una fontana, dove i ricchi pompeiani potevano rilassarsi nelle calde giornate estive, circondati da rigogliosi giardini adornati da colonnati, eleganti statue e bei pavimenti mosaicati. Anche al loro interno molte ville erano riccamente ornate da affreschi colorati, che rappresentavano vari aspetti della vita quotidiana, della storia, della mitologia e del credo religioso dei cittadini di Pompei.
Pompei era una città piuttosto cosmopolita, che rivelava le influenze di diverse regioni e religioni; i suoi cittadini pregavano nei numerosi templi dedicati al panteon romano: Giove, Giunone,  Marte, Venere, Iside, Minerva ed altri.
Per chi professava il proprio culto ad un livello più mondano, le incisioni sulle mura di Pompei offrivano testimonianza del fatto che i gladiatori di successo erano tra le maggiori celebrità del momento: «Celadus è il rubacuori di tutte le ragazze». «Severus, vincitore di 55 battaglie, ha vinto nuovamente». «Hermiscus, l’imbattibile, è stato qui». «Crescens, l’ultimo lottatore, possiede il cuore di tutte le ragazze». Altre incisioni esortavano i cittadini a votare per uno o per l’altro candidato.
Pompei si celava sicura dietro le sue massicce mura di difesa, che avevano oltre 6 metri di spessore e 9 metri di altezza in alcuni punti. La pietra dura usata per erigere le mura e per lastricare le strade cittadine era il basalto, che veniva estratto nelle vicinanze, non sapendo che il basalto era la lava indurita delle passate eruzioni vulcaniche, che avevano inghiottito la regione.
Pompei era una città talmente prospera da rifiutare l’aiuto di Roma nel 62 d.C., quando molti dei suoi più importanti edifici rimasero considerevolmente danneggiati da un terremoto. I suoi cittadini preferirono arrangiarsi da soli, sicuri che sarebbero riusciti a risolvere sia questa sia qualsiasi altra difficoltà.
Persino quando le scosse secondarie colpirono la città in lungo e in largo per parecchi anni, i pompeiani non se ne curarono in gran parte.  Sicuramente non collegarono il fatto con il Vesuvio, che, per quanto ne sapevano loro, era sempre stato un monte tranquillo, e non si accorsero del pericolo crescente: a nove chilometri di distanza si stavano generando delle pressioni inimmaginabili al di sotto del vulcano, che iniziava a svegliarsi dal suo lunghissimo riposo.

L’inferno in terra

Nell’agosto del 79 d.C. l’attività sismica divenne più intensa. Poi, il 24 agosto — per ironia della sorte, il giorno dei Vulcanali, una festa in onore di Vulcano, il dio romano del fuoco — il mondo giunse alla fine per Pompei.
Verso mezzogiorno migliaia di pompeiani si stavano recando a svolgere le loro attività quotidiane quando rimasero sorpresi e scossi da un assordante boato.
La vetta dell’alto ed imponente Monte Vesuvio svanì in un’esplosione su scala nucleare. Polvere, pomice rovente, cenere e fiamme furono sparate nel cielo ad oltre duemila metri di metri d’altezza. Uomini, donne e bambini rimasero sconcertati e si misero ad urlare quando il cielo divenne improvvisamente nero, illuminato soltanto dalle scie lasciate dalle rocce infuocate che si scagliavano al suolo tra il brulichio della gente terrorizzata.
Uno strato coprente di cenere a grani, come una soffocante pioggia dall’inferno, cominciò presto a stendersi nella città. Colti dal panico, alcuni pompeiani corsero a cercare i propri famigliari per scappare, in cerca di un posto sicuro al di fuori della città. Altri, terrorizzati da quella pioggia di cenere e pomice rovente, si chiusero in casa, sbarrando porte e finestre dietro di sé.
Alla fine calarono le tenebre, e a quell’ora alcuni metri di cenere avevano già coperto tutto. Vi erano alcune persone rimaste, che accesero delle torce per farsi strada tra la cenere, nella speranza di trovare la salvezza al porto o lungo le strade che conducevano al di fuori della città — se riuscivano a trovarle.
Quando giunse la notte, i tetti iniziarono a scricchiolare, per poi crollare sotto il peso della cenere. Alcuni pompeiani, rendendosi conto che sarebbero soffocati o sarebbero finiti sepolti vivi a causa della continuo accumularsi di cenere vulcanica, si arrampicarono con difficoltà fino alle finestre del secondo piano, respirando faticosamente per l’aria carica di cenere. Altri, colti da disperazione, spaccarono i tetti o i muri delle loro case per crearsi una via di fuga. Pochi altri rimasero indietro, cercando riparo ovunque potessero.
A quel punto in città vi erano solamente i morti e coloro che lo sarebbero stati in breve tempo.
Durante tutta la notte la pioggia di cenere continuò a cadere. Tre volte, nella notte, valanghe di rocce, cenere incandescente e gas velenosi si rovesciarono giù dalla montagna, ma si fermarono prima di avvolgere Pompei. Nonostante questo, quando il cielo si rischiarò leggermente all’alba successiva, due metri di pomice e cenere vulcanica ricoprivano già gran parte di Pompei.

Il colpo finale

All’alba il Vesuvio scagliò il suo colpo finale sulla città già ferita a morte. In meno di un’ora, altre tre valanghe infuocate, accompagnate da una pioggia di tonnellate di cenere estremamente sottile, ingoiarono la città. Le prime due soffocarono Pompei con un ulteriore mezzo metro di cenere vulcanica e detriti; la terza colpì con una tale forza da sradicare e spazzar via quanto ancora emergeva al di sopra dei cumuli di depositi vulcanici.
Questa bufera incandescente, con i suoi gas velenosi ed i suoi fumi, uccise chiunque e distrusse qualunque cosa rimanesse. Alcuni pompeiani — mariti e mogli, genitori e figli, amici di lunga data — cercarono conforto l’uno nell’altro mentre stavano morendo, rimanendo paralizzati in abbracci che sarebbero durati per secoli.
In quel giorno e nel giorno successivo, almeno altre due valanghe di ceneri colpirono la città, seppellendola ancora più in profondità. Quando il Vesuvio — ormai ridotto ad un frantumato moncone di montagna — finalmente si calmò, ai sopravvissuti delle città vicine e delle campagne si offrì la vista di un panorama grigio e cinereo, che assomigliava piuttosto alla superficie della luna.
Erano spariti i terreni rigogliosi ed i campi di foraggio, gli alberi, ed anche il fiume stesso. Soltanto alcuni tronchi d’albero spezzati spuntavano attraverso la cenere fumante. La prosperosa città di Pompei non esisteva più: era stata trasformata in un enorme cimitero.
Una persona, probabilmente un ebreo o un cristiano, non poté fare a meno di trovare un parallelismo con la narrazione biblica. Mentre stava scavando un cunicolo tra le rovine, scarabocchiò su di un muro la scritta “Sodoma e Gomorra”.
La maggior parte dei sopravvissuti, comunque, abbandonò per sempre la città. Non trascorse molto tempo prima che tutti venissero a sapere che quella città, che una volta si trovava lì, era defunta. Con il passare dei secoli, il Vesuvio eruttò ancora svariate volte, ricoprendo con ulteriori strati di cenere quella città già sepolta, sigillando ancor di più Pompei nella sua fredda e grigia tomba. E lì rimase, 7 metri sotto terra, una città del primo secolo congelata nel tempo, fino alla sua casuale scoperta ed identificazione quasi 17 secoli più tardi.

Un sobrio promemoria per molte cose

Per molti storici ed archeologi, Pompei si è dimostrata un tesoro ritrovato riportando alla luce molti aspetti della vita nel primo secolo del mondo romano. Milioni di visitatori hanno ripercorso le sue strade, per ammirare i suoi delicati capolavori artistici e per guardare attentamente in quelle case, negozi e botteghe ancora integri dopo 2000 anni, chiedendosi che tipo di vita potessero condurre allora.
E non si può lasciare quel posto senza rimanerne colpiti; o almeno io non riesco ad immaginare che sia possibile. Pompei è un sobrio promemoria per molte cose: per la fragilità e la fugacità della nostra esistenza, per come intere città e civiltà possano sparire.
Ma, forse, è più di tutto un promemoria per la follia degli esseri umani, che si rifiutano di affrontare una realtà spiacevole, che ignorano o fraintendono i segnali di pericolo, fino a quando è troppo tardi.
Ricchi e poveri, cittadini liberi e schiavi, giovani e vecchi, tutti incontrarono lo stesso destino a Pompei. Gli unici che riuscirono a scappare furono quelli che riconobbero il crescente pericolo. Mentre per tutti coloro che indugiarono troppo a lungo, negando la gravità della loro situazione o sperando che le condizioni sarebbero in qualche modo cambiate, la città divenne la loro tomba.
Un abitante dell’antica Pompei trasse un buon insegnamento dalla vicenda: fu l’uomo che scarabocchiò “Sodoma e Gomorra” su uno dei muri della città sepolta. Questa semplice sentenza, di sole tre parole, ci descrive la città molto meglio di tutti i numerosi libri che sono stati scritti su di essa.
Un odierno visitatore dei resti di Pompei non deve sforzarsi molto per trovare degli indizi sulla condotta morale della città. Diverse decine di edifici sono stati identificati come case per la prostituzione. Alcuni di essi non lasciano alcun dubbio sul loro utilizzo, a giudicare dagli espliciti dipinti murali e dalle iscrizioni ritrovate.
Nelle case private, dipinti murali e mosaici rappresentano tutti i tipi di attività sessuale, e molti comuni oggetti domestici erano adornati da motivi a sfondo sessuale. Alcuni scavi recenti in uno dei bagni pubblici di Pompei rivelano che uno dei piani dell’edificio era stato adibito a bordello. Raffigurazioni di enormi organi genitali si possono ritrovare sui muri lungo le strade, e in almeno un caso intagliate nella strada stessa.
La Bibbia ci dice che la perversione sessuale dilagava nelle antiche città di Sodoma e Gomorra (Genesi 19:1-13), e Dio le distrusse col fuoco (versetto 24). La loro depravazione era tale che erano diventate il simbolo del peccato e della giusta punizione di Dio.
Anche oggi molte delle nostre città non sono affatto diverse da Sodoma e Pompei. Raramente menzionato nelle notizie dei mass media è il fatto che il devastante tsunami del dicembre 2004 ha spazzato via quella porzione delle coste della Tailandia tristemente nota per il commercio sessuale dei minori, o che New Orleans è stata devastata dall’uragano Katrina cinque giorni prima che 100.000 tra gay e lesbiche venissero accolti nella città in occasione del suo festival, appropriatamente chiamato il «festival della decadenza sudista».

Ignoreremo il monito?

La catastrofe abbattutasi su Pompei può rappresentare un insegnamento per il mondo di oggi? Certamente! La distruzione di Pompei ossessiona la memoria collettiva e ci riempie con un vago senso di inquietudine.
Per vari aspetti la nostra epoca è molto simile a quella di Pompei. Molti di noi vivono nel lusso e nell’agiatezza. La vita ci sorride; viviamo nell’epoca più ricca e prosperosa di tutta la storia dell’umanità. La tecnologia ci ha dato veramente molto, semplificandoci parecchio la vita in molti campi.
Tutto questo potrà mai finire?  Un mondo che legalizza l’immoralità potrà godere della sua prosperità per sempre? La storia afferma di no. E la parola di Dio, la Bibbia, predice che questo tipo di mondo è destinato a morire.
Viviamo in un mondo tanto immerso quanto schiavo dei piaceri materiali. «Or sappi questo», scrisse l’apostolo Paolo, «che negli ultimi giorni verranno tempi difficili, perché gli uomini saranno amanti di se stessi, avidi di denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, scellerati, senza affetto, implacabili, calunniatori, intemperanti, crudeli, senza amore per il bene, traditori, temerari, orgogliosi, amanti dei piaceri invece che amanti di Dio» (II Timoteo 3:1-4).
La descrizione che l’apostolo fece dei nostri giorni si adatterebbe benissimo anche alle antiche città di Sodoma e Pompei. E come per quelle città, arriverà un giorno la resa dei conti per questo mondo.
Le Profezie bibliche ci preannunciano un tempo di grandi sofferenze, come gli uomini non avranno mai conosciuto prima (Geremia 30:7; Daniele 12:1). Gesù Cristo predisse questa epoca dicendo: «Perché allora vi sarà una tribolazione così grande, quale non vi fu mai dal principio del mondo fino ad ora né mai più vi sarà» (Matteo 24:21).
Ripensate ai titoli che hanno troneggiato sui giornali negli ultimi mesi ed anni: omicidi, terremoti, alluvioni, terrorismo, incendi, suicidi, corruzione, sanguinosi conflitti fra nazioni e guerre civili, terroristi che cercano di entrare in possesso di armi nucleari, pormografia e prostituzione nelle case delle famiglie attraverso Internet, personaggi VIP tanto più applauditi quanto più immorali, malattie veneree, scoppi di epidemie, atteggiamenti ostili verso Dio e la Sua parola scritta, la Bibbia. Matteo 24 fornisce un elenco delle predizioni di Gesù Cristo.
Nella sua prima Epistola ai Tessalonicesi (cap. 5, vers. 1-6) l’apostolo Paolo scrisse un ammonimento che risulta più adeguato ai giorni nostri che a quelli per cui fu scritto: «Ora, quanto ai tempi e alle stagioni, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva, poiché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. Quando infatti diranno Pace e sicurezza, allora una subitanea rovina cadrà loro addosso, come le doglie di parto alla donna incinta e non scamperanno affatto…»

Come un ladro di notte

«Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel Giorno vi sorprenda come un ladro. Voi tutti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. Perciò non dormiamo come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri…»
Questo passaggio non fa pensare solo ai giorni nostri, ma anche a quelli dell’antica Pompei.
L’eruzione del Vesuvio avvenne all’ora di pranzo, così la vita di molti pompeiani si fermò, prima che potessero finire il loro pasto.  Ma le immagini più indimenticabili di Pompei sono i calchi di quelli che non ce l’hanno fatta a scappare dalla quella città dannata. I loro corpi, sigillati nella cenere vulcanica che si stava raffreddando, si sono infine ridotti in polvere, lasciando uno spazio vuoto nel quale gli archeologi di Pompei hanno versato gesso e calcestruzzo quasi duemila anni dopo.
Vediamo moltissimi segni di ammonimento attorno a noi. Siamo in grado di comprenderli? O sceglieremo volontariamente di fraintenderli, classificandoli come degli inconvenienti passeggeri o delle interruzioni temporanee del flusso del progresso umano?
Ignoreremo anche noi, così come i cittadini di Pompei, i tremiti e le scosse, fino a quando sarà troppo tardi? O presteremo attenzione alle parole ammonitrici di Gesù Cristo in Luca 21:36: «Vegliate dunque, pregando in ogni tempo, affinché siate ritenuti degni di scampare a tutte queste cose che stanno per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
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