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La corsa della nostra vita

Berlino, Germania, 1936: questa edizione delle Olimpiadi avrebbe dovuto, in teoria, sancire la supremazia della razza ariana tanto osannata da Adolf Hitler, che intendeva mostrare al mondo come la stirpe tedesca fosse in grado di imporsi come “razza superiore” anche nelle discipline atletiche. Tragicamente, fu proprio questa mentalità ad innescare la bomba che, nel giro di tre anni, avrebbe portato alla catastrofe della seconda guerra mondiale.

Jesse Owens, dal canto suo, rappresentava l’opposto di tutto ciò che Hitler intendeva per razza superiore. Afroamericano, figlio di poveri contadini e nipote di uno schiavo. Non faceva decisamente parte dell’arrogante gruppo degli atleti ariani. Tuttavia, durante il corso delle Olimpiadi, a dispetto della pressione psicologica esercitata ai suoi danni, Owens trasformò l’impossibile in realtà, facendo mangiare la polvere a tutti i suoi antagonisti, ariani compresi, e vincendo ben quattro medaglie d’oro! Grazie a questa dimostrazione di incredibile coraggio e forza d’animo, che lo portò a combattere nonostante l’ostilità apertamente dimostratagli, Hitler ne uscì decisamente umiliato.
Montreal, Canada, 1976: Il risultato finale fu un vero e proprio disastro per i giapponesi. Durante una gara di corpo libero, la ginocchiera di Shun Fujimoto, uno degli atleti di punta della squadra nipponica, andò in pezzi.
Il dolore era lancinante, ma se avesse assunto un qualsiasi tipo di antidolorifico sarebbe stato squalificato. Non poteva nemmeno essere rimpiazzato, e il ritiro avrebbe significato molto probabilmente la sconfitta. Come se non bastasse, Shun avrebbe dovuto ottenere un punteggio alto agli anelli per dare una chance alla sua squadra di vincere l’oro.
Mentre lo aiutavano a raggiungere gli anelli, il dolore al ginocchio si era addirittura intensificato, ma sapeva bene che il peggio doveva ancora arrivare. Alla fine della performance, avrebbe dovuto fare un salto mortale e atterrare 2 metri più sotto… con la ginocchiera rotta.
Non volendo deludere la sua squadra né la sua nazione, strinse i denti e sopportò il dolore. Si lanciò nell’aria un’ultima volta, fece il salto mortale e atterrò saldamente sui due piedi. L’impatto con il terreno diede il colpo di grazia al suo ginocchio martoriato, ma Shun rimase dritto e fermo senza battere ciglio, aggiudicandosi un punteggio molto alto. La sua squadra vinse la medaglia d’oro. Il merito è sicuramente da attribuire anche al coraggio e alla resistenza di Fujimoto.
Atlanta, Stati Uniti, 1996: le squadre femminili di Russia e Stati Uniti erano a un passo dall’aggiudicarsi il primo posto nelle discipline di atletica leggera. L’ultimo giorno, l’americana Kerri Strug prese una brutta storta alla caviglia durante la gara di salto con l’asta. Le rimaneva un secondo salto, ma ce l’avrebbe fatta?
Era determinata a portare la sua squadra alla vittoria. Stringendo i denti, la diciottenne è riuscita a portare a termine con successo il secondo salto, anche se le costò una caviglia rotta. Alla fine, la sua squadra si aggiudicò l’oro olimpico.

I giochi istmici

Questi sono solo alcuni esempi delle numerose dimostrazioni di forza e determinazione nella storia delle Olimpiadi.
Circa 2000 anni fa, un uomo scrisse una lettera indirizzata ai primi cristiani nella città greca di Corinto, di cui ricordava episodi analoghi avvenuti in occasione di manifestazioni sportive simili alle Olimpiadi. L’uomo in questione era l’apostolo Paolo.
Aveva vissuto a Corinto per un anno e mezzo, e conosceva bene la passione che la gente aveva per questo tipo di competizioni. Proprio a Corinto, infatti, si svolgevano i “giochi istmici”, una manifestazione sportiva simile alle Olimpiadi riservata agli atleti greci che si teneva ogni due anni, un anno prima e un anno dopo lo svolgimento delle Olimpiadi. Il termine “istmico” deriva dal fatto che Corinto giace su un istmo, una stretta fascia di terra tra due mari.
Gli abitanti di Corinto, importante centro di scambi commerciali, andavano orgogliosi di tutte le parate e gli spettacoli che facevano da cornice a queste competizioni atletiche. Atleti provenienti da tutta la Grecia si riunivano per prendere parte a questi giochi, secondi in ordine di importanza solo alle Olimpiadi, che si svolgevano ormai da più di 500 anni. Il pubblico amava assistere ai trionfi e alle prove di coraggio a cui erano sottoposti gli atleti, considerati dei veri e propri eroi e osannati per decenni, a volte addirittura secoli.
Paolo, tuttavia, voleva che i cristiani di Corinto si concentrassero su un diverso tipo di gara, molto più importante delle Olimpiadi e dei giochi istmici. La gara a cui si riferiva era quella spirituale, il cui premio finale era il Regno di Dio, e Paolo scrisse loro per ribadire quanto fosse importante portare a casa la vittoria.
Le parole che Paolo rivolse loro valgono anche per noi. Anche noi siamo esortati a lottare per vincere la corsa spirituale che porta al Regno di Dio, nella speranza di riuscire, un giorno, a tagliare il traguardo.
«Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio», scriveva Paolo, «corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo. Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile. Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato» (1 Corinzi 9:24-27).
Analizziamo i quattro punti salienti di questo passaggio che ci possono aiutare a vincere la gara spirituale che ci attende.

Il bisogno di allenarsi

Paolo sottolinea che «chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa». Paragona i cristiani ai corridori e ai pugili dei giochi istmici. Gli atleti che hanno preso parte a questo tipo di competizione controllavano la propria alimentazione e si allenavano duramente per ore interminabili, con l’obiettivo di rinforzare il proprio corpo ed affrontare al meglio le estenuanti competizioni che li attendevano.
Di tutti gli eventi, il pugilato era il più brutale. Il versetto 27 del capitolo 1 Corinzi 9 ci parla della lotta spirituale: «Lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù».
A quel tempo, i pugili erano soliti fasciarsi le nocche delle dita con delle strisce di pelle. Quando i romani assunsero il controllo dei giochi, imposero che nella fasciatura fossero messi anche piombo, ferro e persino borchie! A volte capitava che gli atleti combattessero per quattro ore di fila, e il combattimento terminava nel momento in cui uno dei due partecipanti veniva mandato al tappeto o dichiarava sconfitta alzando il dito indice.
A volte anche i cristiani sono chiamati ad affrontare dure prove. Paolo avvertì Timoteo, suo compagno nel ministero, che «tutti quelli che voglion vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Timoteo 3:12). La persecuzione può presentarsi sotto forma di ostilità, di difficoltà economica, di violenza verbale o di tentativi di umiliazione per il fatto che si cerchi di vivere secondo le leggi di Dio. E’ richiesto un grande sacrificio. Alcuni fedeli sono stati imprigionati, e molti altri hanno addirittura perso la vita.
Ecco perché Paolo dice: «L’esercizio corporale è utile a poca cosa, mentre la pietà è utile ad ogni cosa, avendo la promessa della vita presente e di quella a venire» (1 Timoteo 4:8).
Con queste parole l’apostolo ci dice che la nostra priorità dovrebbe essere quella di allenare e sviluppare il nostro spirito, prima ancora che il fisico. Paolo non è assolutamente contrario all’esercizio fisico, anzi è d’accordo sul fatto che apporti dei benefici temporanei. Tuttavia, l’esercizio spirituale, che include la disciplina della preghiera quotidiana, lo studio della Bibbia, la meditazione e il digiuno occasionale, dovrebbe essere la priorità principale, poiché i benefici che ne derivano sono eterni.
Non c’è dubbio: la nostra performance spirituale dipende dalla condizione in cui si trova il nostro spirito.

Il bisogno di comprendere e seguire le regole

Paolo scrisse anche: «Tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato» (1 Corinzi 9:27).
Prima di dare il via alle gare istmiche, gli atleti giuravano di seguire le regole stabilite e di non imbrogliare.
Paolo ci dice che «se uno compete nelle gare atletiche, riceve la corona unicamente se ha lottato secondo le regole» (2 Timoteo 2:5).
E’ accaduto diverse volte nel corso della storia delle Olimpiadi che un atleta venisse squalificato per aver violato le regole, e poco importava se si trattava del corridore più veloce o del combattente più forte. Se non si rispettavano le regole, si veniva esclusi dalla competizione.
Anche noi, nella nostra corsa cristiana, dobbiamo attenerci alle regole, che in questo caso sono rappresentate dalle leggi spirituali di Dio. Un giorno, un giovane nobile chiese a Gesù Cristo cosa dovesse fare per ottenere la vita eterna. Cristo gli rispose: «Se tu vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Matteo 19:17).
Dobbiamo imparare a conoscere bene i comandamenti, approfondendone il valore sia sul piano fisico che su quello spirituale, ed impegnarci a rispettarli con l’aiuto di Dio. Più li metteremo in pratica, e migliore sarà il beneficio che ne otterremo, sia per noi stessi che per chi ci circonda.

Il bisogno di imparare dalle proprie sconfitte

Non esiste al mondo un atleta un grado di vincere tutte le gare a cui prende parte. L’unico atleta spirituale a non aver mai perso una gara è Gesù Cristo. Tutti noi altri, invece, dobbiamo imparare ad accettare le sconfitte, rialzarci e andare avanti, il ché significa affrontare i nostri peccati e i nostri errori e superarli.
Michael Johnson, l’unico campione olimpico ad aver vinto sia i 200 che i 400 metri nella stessa Olimpiade, scrive nel suo libro: «Le sconfitte del passato mi hanno reso più forte. Senza l’amaro in bocca che mi aveva lasciato Barcellona, chissà se ad Atlanta mi sarei impegnato così tanto sia nei 200 che nei 400 metri…» (Uccidendo il dragone [Slaying the Dragon],1996, pag. 50).
L’apostolo Paolo scrisse riguardo ai suoi errori: «Fratelli, non ritengo di avere già ottenuto il premio, ma faccio una cosa: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso le cose che stanno davanti, proseguo il corso verso la mèta, verso il premio della suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù» (Filippesi 3:13-14).

Il bisogno di perseverare senza mai perdere l’obiettivo

Anche Paolo fece tesoro dei propri errori, lasciandoseli alle spalle e impegnandosi a fondo per migliorare e non commetterli di nuovo. Questo è quanto di meglio ciascuno di noi possa e debba fare.
Paolo ci propone l’immagine di un corridore che concentra la sua attenzione sulla linea del traguardo, e scrive: «Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio», scrive Paolo, «corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo» (1 Corinzi 9:24).
A differenza dei moderni giochi olimpici, dove ai vincitori viene dato denaro come premio, le antiche competizioni sportive prevedevano che il vincitore venisse premiato con una corona. Non esisteva né il secondo né il terzo posto, per cui l’unica possibilità di vittoria era arrivare primi.
Nei giochi istmici, i vincitori venivano premiati con una corona fatta di sedano selvatico o di pino. Paolo la definì una «corona corruttibile», che non valeva nulla in confronto alla «corona incorruttibile» della vita eterna (versetto 25).

Mai arrendersi!

Una parafrasi di Ebrei 12:1-2 cita: «Avete compreso il significato del messaggio di questi pionieri che ci hanno mostrato la via, di questi veterani che fanno il tifo per noi? Ci spronano ad andare avanti. Liberatevi dal peso spirituale che vi opprime e dal peccato che vi circonda, e iniziate la vostra corsa senza fermarvi mai, restando sempre concentrati sull’obiettivo, Gesù, che iniziò questa corsa proprio come noi, e che alla fine riuscì a tagliare il traguardo.
«Prendete esempio da lui. Non avendo mai perso di vista il punto di arrivo del suo percorso, la gloria di Dio, è riuscito, nel corso della sua vita, a sopportare qualsiasi tipo di sofferenza: la croce, la vergogna, tutto. E ora si trova là, al posto d’onore, accanto a Dio» (Il Messaggio [The Message]).
L’apostolo Paolo ci ha dato un grande esempio di grandezza. Mentre si trovava a Roma, in attesa di venire giustiziato, ripercorse con la mente tutta la sua vita cristiana attraverso la metafora istmica del pugile e del corridore. Sapeva che la sua gloriosa carriera di atleta spirituale era giunta al termine.
Scrisse a Timoteo: «Io ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbata la fede; del rimanente mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione» (2 Timoteo 4:7-8).
Uno degli archeologi che prese parte agli scavi effettuati a Corinto, Oscar Broneer, descrisse in questo modo le parole di Paolo: «Le sue parole in greco sono espresse in chiave chiaramente sportiva. Il passaggio in questione potrebbe essere reso così: «Ho gareggiato dalla parte dei buoni; ho tagliato il traguardo della gara di corsa; ho mantenuto la promessa (ovvero ha gareggiato onestamente, riferendosi al giuramento degli atleti)».
«Mi rimane solo di ricevere la corona della virtù, che è stata messa da parte appositamente per me e che mi verrà donata dal Signore, arbitro imparziale, in quel giorno»; un’allusione questa all’ultimo giorno dei giochi, in cui i vincitori ricevevano il loro premio (The Apostle Paul and the Isthmian Games, 1962, pag. 31).
L’apostolo poteva senza dubbio affermare, giunto alla fine della sua vita, che tutto il duro allenamento era stato ripagato. Era un vincente, e non temeva più alcuna squalifica. Era ad un passo dal traguardo finale.
Le prossime Olimpiadi, quindi, non rappresenteranno per noi solo un evento sportivo, ma serviranno soprattutto a ricordarci della nostra corsa spirituale, che ci porterà un giorno al Regno di Dio.
La ricompensa che ci attende vale più di qualsiasi altro premio mai ricevuto dai campioni olimpici, se seguiremo il mirabile esempio dell’apostolo Paolo mettendo in pratica gli insegnamenti di Dio con tutto il cuore, sicuramente riusciremo a tagliare trionfanti il traguardo.
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