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Il Decimo Comandamento e il “frutto proibito”

Per Il Decimo Comandamento e il “frutto proibito”

L’ultimo dei Dieci Comandamenti, quello che si erge contro la concupiscenza, è rivolto direttamente al cuore e alla mente di ogni essere umano. Dio ha detto: “«Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo» (Esodo 20:17).

Che cosa è la concupiscenza?

La concupiscenza è il dominio del desiderio a discapito della ragione. Sinonimi della concupiscenza sono la “bramosia”, la “cupidigia” e la “avidità”. Il divieto della concupiscenza non si riferisce tanto a ciò che dobbiamo fare, quanto piuttosto al modo in cui dovremmo pensare. Il comandamento ci chiede di esplorare noi stessi a fondo, per scoprire come siamo fatti dentro. La vera rettitudine viene dal cuore.
Allo stesso modo dei nove comandamenti precedenti, quest’ultimo è indirizzato a regolare i rapporti interpersonali con il nostro prossimo e finanche con il nostro Creatore, Legislatore e Giudice Supremo. Infatti, il trasgredirlo pregiudica ogni rapporto con i nostri simili. Perfino con Dio, il quale si vide derubato dell’autorità suprema di legiferare sul bene e sul male, quando Adamo ed Eva, dominati dalla concupiscenza, presero e consumarono il “frutto”, l’autorità di decidere da sé un modo di vivere opposto. La concupiscenza trasformò la loro ambizione in trasgressione. Così il peccato entrò nell’uomo, e con il peccato la morte.
Il Decimo comandamento non ci dice che tutti i nostri desideri sono immorali o dannosi, ma che soltanto alcuni di essi sono sbagliati. Il nostro cuore e la nostra mente diventano offuscati dall’attrazione illecita per qualcosa che non ci spetta di diritto, dal momento che l’oggetto in questione appartiene già a qualcun altro. L’inclinazione opposta, l’atteggiamento virtuoso è invece il desiderio positivo di aiutare gli altri a proteggere e a conservare i beni ricevuti in dono da Dio. Dovremmo anzi rallegrarci quando altre persone sono benestanti. Il nostro desiderio dovrebbe consistere nel contribuire al benessere degli altri, a fare della nostra presenza nella loro vita una fonte di benessere.
Sono le nostre motivazioni che definiscono e determinano le modalità di interazione con tutti quelli che entrano in contatto con noi. Le nostre trasgressioni rispetto alla legge divina dell’amore hanno origine nel cuore, come ha confermato Gesù Cristo: «Poiché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, malvagità, frode, lascivia, sguardo maligno, calunnia, superbia, stoltezza». E poi Egli conclude: «Tutte queste cose malvage escono dal di dentro e contaminano l’uomo» (Marco 7:21-23). Per questo motivo, è logico che l’elenco formale di questi Comandamenti fondamentali, che definiscono l’amore di Dio, debba concludersi ponendo attenzione ai nostri cuori, intesi come sorgenti dei nostri problemi relazionali. I desideri che ci tentano e ci distraggono vengono proprio dalla nostra mente.

L’essere umano è egoista

La nostra inclinazione naturale ci porta a pensare sempre prima a noi stessi che agli altri. Siamo molto più interessati a ciò che possiamo ottenere piuttosto che a ciò che possiamo dare agli altri. Questa è esattamente l’essenza di quanto Dio va denunciando nel Decimo Comandamento. Egli ci chiede di smettere di preoccuparci esclusivamente di noi stessi: Dio ci chiede di non fare solo e soltanto il nostro interesse.
La bramosia ci riduce ad un approccio egoistico alla vita e l’egoismo sta alla radice delle nostre trasgressioni della legge di Dio. «[Infatti,] ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo adesca. Poi la concupiscenza, avendo concepito, partorisce il peccato; ed il peccato, quand’è compiuto, produce la morte» (Giacomo 1:14-15). Questa Scrittura evidenzia quanto possano essere pericolosi i desideri sfrenati e incontrollati: «Donde vengono le guerre e le contese fra voi? Non è egli da questo: cioè dalle voluttà che guerreggiano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete ed invidiate e non potete ottenere; voi contendete e guerreggiate; non avete, perché non domandate» (Giacomo 4:1-2).
Vediamo quindi che la concupiscenza sta all’origine di molti peccati, compresi l’omicidio e la guerra. Se non è controllato, quello che era soltanto un pensiero diventa un’ossessione che, a sua volta, può tradursi in un atto o in un comportamento. Tutti noi abbiamo «condotto noi stessi nella lussuria della nostra carne, rispondendo ai desideri della carne e della mente» (Efesini 2:3). Tutti noi abbiamo lasciato che i nostri desideri si impadronissero del nostro comportamento. Di conseguenza, abbiamo tutti quanto commesso dei peccati (Romani 3:10, 23).

Una piaga universale

Gli effetti deleteri della concupiscenza sono stati descritti in maniera significativa dall’apostolo Paolo: «Ma sappiate questo, che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili; perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi, senza alcuna affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio, aventi le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza. Anche costoro schiva!» (II Timoteo 3:1-5). Questa brano dà una descrizione profetica eccezionalmente accurata della nostra epoca, non è vero?
Lo spirito diffuso della «concupiscenza» non è una esperienza unica nella storia; è un male che ha sempre afflitto l’umanità. Rivolgendosi ad uno degli ultimi re dell’antico Regno di Giuda, Dio gli disse: «…Tu non hai occhi né cuore che per la tua cupidigia, per spargere sangue innocente, e per fare oppressione e violenza» (Geremia 22:17). Il problema non si limitava soltanto ai re: «Perché dal più piccolo al più grande, son tutti avidi di guadagno; dal profeta al sacerdote, tutti praticano la menzogna» (Geremia 6:13).
Così Dio ha manifestato il suo disgusto per la cupidigia di Israele e ha avvertito il suo popolo del destino che lo attendeva: «Agognano dei campi, e li rapiscono; e delle case, e se le prendono; così opprimono l’uomo e la sua casa, l’individuo e la sua proprietà. Perciò così parla l’Eterno: Ecco, io medito contro questa stipe un male, al quale non potrete sottrarre il collo; e non camminerete più a testa alta, perché saranno tempi cattivi» (Michea 2:2-3).
Un esempio illuminante della diffusione pressoché universale della concupiscenza è la popolarità estrema delle lotterie gestite dallo Stato e dai clan privati. Milioni di persone ogni settimana gettano al vento parte del proprio stipendio nella speranza di vincere una vita fantastica fatta di ogni comodità e lussuria. Altri lo fanno per uscire dai debiti. Ma i luoghi nel mondo dove si può giocare d’azzardo sono diventate mete molto popolari principalmente di vacanzieri, grazie al fatto che quel tipo di divertimenti riesce a soddisfare i nostri istinti più nascosti e disordinati. Insomma, promuovere la cupidigia costituisce in sé anche un ottimo affare. Le agenzie pubblicitarie e gli istituti di ricerca fanno della manipolazione dei gusti e dei bisogni dei consumatori una vera e propria scienza. Come nel caso dell’antico Israele, anche noi siamo una società avida, a tutti i livelli sociali.

Una forma di idolatria

La concupiscenza è un affare molto più serio di un semplice malessere sociale. Quando anteponiamo a Dio la cupidigia, l’avidità, la lussuria e il proprio ego, tale comportamento diventa una vera e propria forma di idolatria spiritualmente letale. Le parole dell’apostolo Paolo ci ammoniscono in modo chiaro: «Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, lussuria, mala concupiscenza e cupidigia, la quale è idolatria» (Colossesi 3:5-6). In un altra sua epistola, l’apostolo collega il peccato della cupidigia all’idolatria, fino ad affermare che questi come altri peccati possono impedirci l’ingresso nel Regno di Dio. «Poiché voi sapete molto bene che nessun fornicatore o impuro, o avaro (che è un idolatra), ha eredità nel Regno di Cristo e di Dio» (Efesini 5:5).

Combattere la concupiscenza

Gesù ha ordinato ai Suoi discepoli di «guardarsi da ogni avarizia: perché non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita» (Luca 12:15). Allo stesso modo, l’apostolo Paolo ci dice: «Non facendo nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascun di voi, con umiltà, stimando altrui da più di se stesso, avendo ciascuno di voi riguardo non alle cose proprie, ma anche a quelle degli altri» (Filippesi 2:3-4).
La via percorsa da Dio, la via dell’amore, consiste nel mettere in pratica questo tipo di attenzioni verso gli altri: «Infatti il non commettere adulterio, il non uccidere, non rubare, non concupire e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: ama il tuo prossimo come te stesso. L’amore non fa male alcuno al prossimo; l’amore, quindi, è l’adempimento della legge di Dio» (Romani 13:9-10).
Per combattere la concupiscenza, dobbiamo aver fede nella volontà di Dio di offrirci il modo di soddisfare quei nostri desideri e bisogni legittimi. Abbiamo buone ragioni per non dubitarne. Le Scritture promettono che Egli non ci abbandonerà mai, se obbediamo e confidiamo in Lui. «Non siate amanti del denaro, siate contenti delle cose che avete; poiché Egli stesso ha detto: Io non ti lascerò, e non ti abbandonerò» (Ebrei 13:5). Lo stesso concetto è espresso in un’altra epistola: «Poiché non abbiam portato nulla nel mondo, perché non ne possiamo neanche portar via nulla; ma avendo di che nutrirci e di che coprirci, saremo di questo contenti. Ma quelli che vogliono arricchire cadono in tentazione, in laccio, e in molte insensate e funeste concupiscenze, che affondano gli uomini nella distruzione e nella perdizione. Poiché l’amor del denaro è radice di ogni sorta di mali; e alcuni che vi sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono trafitti di molti dolori» (I Timoteo 6:7-10).
Non è possibile sconfiggere la concupiscenza senza l’aiuto di Dio. Gli impulsi negativi della nostra natura sono troppo potenti per essere sconfitti solo con le nostre forze umane. Per ricevere l’aiuto di cui abbiamo bisogno, dobbiamo rivolgerci a Dio, in particolar modo supplicandolo di infonderci lo Spirito Santo (Luca 11:13). A quel punto dobbiamo lasciare che lo Spirito di Dio faccia il suo corso dentro di noi per cambiare il nostro modo di pensare. «Ora io dico: Camminate per lo Spirito e non adempirete i desideri della carne”, scrive Paolo. “Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra loro; in guisa che non potete fare quello che vorreste» (Galati 5:16-17). Il secondo capitolo degli Atti degli Apostoli, al versetto 38, ci spiega come possiamo ricevere lo «Spirito Santo». (Per approfondimenti, chiedi una copia gratuita dei seguenti articoli: Quale Fede conduce alla Salvezza? e La Via che conduce alla Vita Eterna).

Pilotare i nostri desideri nella direzione giusta

Abbiamo bisogno di indirizzare i nostri desideri nella direzione giusta. Gesù ha spiegato che per prima cosa dovremmo «cercare il Regno di Dio e la Sua giustizia» (Matteo 6:33). Inoltre, Egli ha specificato il come: «Fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non sconficcano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, quivi sarà anche il tuo cuore» (Matteo 6:20-21).
Gli esempi dei “tesori eterni” cui Dio vuole che aspiriamo sono la conoscenza e il discernimento delle cose spirituali e la saggezza, e la capacità di coltivare rapporti interpersonali corretti e proficui. «Sì, se chiedi con forza il discernimento e alzi la tua voce per ottenere intendimento, 4 se lo cerchi come l’argento e ti dai a scavarlo come un tesoro nascosto, 5 allora intenderai il timore dell’Eterno, e troverai la conoscenza di DIO» (Proverbi 2:3-5).
Dio dice che «la sapienza vale più delle perle, e tutti gli oggetti preziosi la equivalgono» (Proverbi 8:11). La Sua Parola descrive alcune delle straordinarie ricompense che la saggezza porta con sé: «Il mio frutto è migliore dell’oro fino, e il mio prodotto val più dell’argento. Io cammino per la via della giustizia, per i sentieri dell’equità, per far eredi di beni reali quelli che mi amano, e per riempire i loro tesori» (versetti 19-21). È la giusta ricompensa per aver cercato con giustizia la saggezza.
Voler riuscire in tutti i progetti della nostra vita può anche essere una giusta ambizione. Se il nostro obiettivo è di essere utili agli altri senza secondi fini, Dio approva le abilità e le conoscenze che sono necessarie per ottenere successi e favori nella vita. Come ha scritto un saggio servitore di Dio: «Hai tu veduto un uomo spedito nelle sue faccende? Egli starà al servizio dei re; non starà al servizio della gente oscura» (Proverbi 22:29).
Dio vuole che la motivazione dei nostri desideri sia l’attenzione verso il prossimo. Talvolta, i nostri servigi nei confronti del prossimo potranno portare a ricompense meravigliose. Ma solo se i nostri cuori sono tesi a donare piuttosto che a prendere, solo allora i nostri desideri saranno indirizzati nella giusta direzione. Dobbiamo sostituire l’avidità e la vanità con la capacità di amare il nostro prossimo e servirlo altruisticamente.
Per la natura umana, l’erba del vicino è sempre la più bella e la più desiderabile. Per non cadere nella concupiscenza, concentriamoci a coltivare l’amore per i doni che il buon Dio ci ha dato. L’epistola dell’apostolo Paolo ai suoi connazionali ci ricorda di «esercitare la beneficenza e di fare parte agli altri dei vostri beni; perché è di tali sacrifici che Dio si compiace» (Ebrei 13:16). Dovremmo basarci anche sull’esempio personale di quest’apostolo, il quale ha scritto: «Io non ho bramato né l’oro né l’argento, né il vestito di alcuno. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di coloro che erano con me. In ogni cosa vi ho mostrato che egli è con l’affaticarsi così, che bisogna venire in aiuto ai deboli, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: Più felice cosa è il dare che il ricevere» (Atti 20:33-35).
(Per eventuali approfondimenti: info@labuonanotizia.org )
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