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Qual è il vero significato del termine “Legalismo”

Qual è il vero significato del termine “Legalismo”?

Qual è il vero significato di «legalismo»? Uno degli aggettivi più dispregiativi che si possono usare nei confronti di un credente è “legalista”.  E’ molto difficile liberarsi da questo giudizio negativo, una volta che si è stati etichettati così.

Di solito il termine “legalista” è attribuito in senso denigratorio non soltanto agli scribi e Farisei del tempo di Gesù, ma anche a tutti quelli che sostengono la piena osservanza dei comandamenti o della legge spirituale di Dio. Eppure, Gesù stesso ha chiaramante detto di non essere venuto per abolire o cambiare la legge del Padre (Matteo 5:17-18).

Ora, siccome anche noi sosteniamo che la legge spirituale di Dio dev’essere osservata anche nel nostro secolo, succede che a volte, alcuni ci chiamano “legalisti”. Ma a torto, perché dimostrano di non conoscerci o di non sapere che cos’è realmente il “legalismo”. In questo articolo cercheremo di replicare a questa accusa  infondata, spiegando altresì il vero significato di “legalismo” o dei suoi diversi aspetti.

Il dizionario italiano online Corriere.it descrive correttamente il legalismo come la «Tendenza a rispettare strettamente la legge, anche con eccessiva attenzione per gli aspetti formali.»

E’ anche utile vedere come il legalismo è descritto anche nei dizionari esteri.
Il dizionario Webster Online definisce il legalismo come «conformità rigida, letterale o eccessiva alla legge o ad un codice morale o religioso.» Con riferimento all’ambito specifico della teologia, si legge: «Il legalismo in senso religioso è il moralismo formale ed è un termine peggiorativo della teologia cristiana che si riferisce all’eccessiva conformità a norme religiose di comportamento».

Il Baker’s Concise Dictionary of Religion offre un’altra valida definizione di legalismo: – «1. Enfasi al contenuto letterale delle leggi piuttosto che a quello spirituale – 2. Fede nella salvezza tramite l’osservanza della legge piuttosto che mediante la grazia di Dio o il proprio credo – 3. Eccessiva importanza ai dettagli legali senza tenere nella giusta considerazione la giustizia o la pietà».

Secondo le descrizioni di tutti i dizionari, un “legalista” (con riferimento all’ebraismo e al cristianesimo) è una persona che crede di osservare la legge ma la osserva in modo così distorto da finire con il violarne l’intento per cui Iddio l’ha trasmessa.

E’ importante notare che, secondo le descrizioni di tutti i dizionari, “legalista” non è affatto colui o colei che desidera compiacere Dio rispettando la Sua santa legge e allo stesso tempo crede nella necessità di essere giustificato in virtù della fede e della grazia di Dio. Come spiegato prima, i veri “legalisti” sono invece quelli che credono di poter essere giustificati esclusivamente attraverso l’osservanza esteriore o formale della legge senza sentire il bisogno della fede e della grazia di Dio.

Per amor di chiarezza, dobbiamo ricordare che esiste anche il legalismo del mondo, con le sue infinite tradizioni umane e ricorrenze, come l’albero di Natale ed altre pratiche idolatriche che non hanno nulla a che fare con Gesù e che sono contrarie ai precetti biblici. Molte chiese hanno abbracciato il legalismo mondano, cadendo così in una sorta di «illegalismo religioso», dando più importanza alle tradizioni del mondo che agli insegnamenti biblici.

L’illegalismo religioso, come quello politico, è un «Atto o comportamento contrario alle leggi e alle istituzioni» (Dizionari Hoepli.it). L’illegalismo religioso è praticato da quei predicatori che, nel nome di una falsa libertà, «volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio» (Giuda 4). Questi ultimi insegnano falsamente che Gesù Cristo abbia abolito i comandamenti di Suo Padre (Mt 5:17). In questo modo i loro adepti hanno “licenza” di peccare, perché ignorano che «il peccato è la trasgressione della legge» (1Gv 3:4).

Non fate errori. Esiste quindi una grandissima differenza fra un cristiano rispettoso delle leggi divine e allo stesso tempo grato per la fede e grazia di Dio ed una persona legalista o ancor peggio illegalista.

Una guerra combattuta sui concetti

Da un lato ci sono i farisei legalisti che non credono nel valore del sacrificio di Gesù Cristo. Credono di poter essere giustificati da Dio attraverso una loro presunta perfetta osservanza delle leggi divine, quando in realtà l’osservano in modo estremo e squilibrato, e non credendo di aver mai bisogno del perdono e della grazia di Dio.

Dall’altro, ci sono i moderni illegalisti o trasgressori religiosi, i quali credono di essere nella grazia di Dio mediante una pseudo fede che li autorizzerebbe ad ignorare la legge di Dio quindi a trasgredirla. Ma proprio per questo motivo, ad essere «scaduti dalla grazia» e sotto la legge» sono proprio loro.

Dovrebbe essere ovvio che entrambi, legalisti e illegalisti religiosi, non sono sotto la grazia di Dio ma sotto il giudizio divino, per motivi opposti.

Purtroppo l’opinione più diffusa, ma errata, è che qualsiasi ‘rispetto della legge biblica’ sia legato al concetto di legalismo e quindi debba essere evitato. Paradossalmente il terminelegalismo viene utilizzato in senso peggiorativo perfino con riferimento ai Dieci Comandamenti, i quali comprendono l’osservanza del Sabato settimanale e il divieto di fabbricare e adorare immagini e statue o qualsiasi altra idolatria (Esodo 20:4-11). La legalizzazione della “trasgressione spirituale” presenta i comandamenti di Dio come semplici “consigli” o “suggerimenti”, la cui osservanza è da considerarsi facoltativa. Ma se il legalismo non è approvato da Dio, [infatti non lo è,] figuriamoci l’illegalismo legalizzato che considera obsolete le leggi divine.

Il legalismo farisaico e il moderno illegalismo religioso sono forse stati voluti da Dio quando dettò la Legge sprituale a Mosè? Che assurdità! Gli Israeliti erano continuamente esortati a non ignorare le leggi di Dio e a non praticare l’illegalità. Allo stesso tempo essi erano continuamente esortati a «pentirsi» dei loro peccati, a «convertirsi e ad «amare il Signore con tutto il loro cuore» (Deut. 30:2).

Dal momento che alcuni ci etichettano ingiustamente come “legalisti”, dedicheremo un pò di tempo a spiegare che cos’è il vero legalismo. Potreste rimanerne sorpresi!

Durante il 16° e il 17° secolo i protestanti e i cattolici condussero una lunga guerra in materia di diritto ecclesiastico tradizionale e biblico.  Da un lato i protestanti etichettarono i cattolici come “legalisti” perché insegnavano l’osservanza di certe tradizioni cattoliche prive di fondamento biblico, come la vendita delle indulgenze per “un posto in paradiso”. Dall’altro i cattolici accusarono i protestanti di essere diventati “illegalisti” ed “eretici”, perché predicavano una salvezza mediante unafede del tutto priva di opere. Entrambi le parti avevano torto.
Ne seguì una guerra lunga trent’anni (1618-1648) che vide schierate “fede protestante” e “opere cattoliche” . Quattro secoli più tardi entrambe le parti continuano ad essere prigionieri dei loro rispettivi legalismi e delle tradizioni del mondo. Questo è quanto afferma Gesù, non è un nostro giudizio. Questo fatto si evince dalle affermazioni di Gesù, non è un nostro giudizio. Che cosa dice Gesù Cristo in merito?

Gesù Cristo descrive il vero legalismo

«Allora Gesù parlò alle turbe e ai suoi discepoli, dicendo: ‘Gli scribi e i Farisei seggono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le opere loro; perché dicono e non fanno. Difatti, legano dei pesi gravi e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppur col dito. Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini.

«Difatti allargano le loro filatterie ed allungano le frange dei mantelli… Ma guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché scorrete mare e terra per fare un proselito; e fatto che sia, lo rendete figliuolo della geenna il doppio di voi… guai a voi, scribi e Farisei ipocriti! Perché pagate la decima della menta e dell’aneto e del comino, e trascurate le cose più gravi della legge: il giudizio, e la misericordia, e la fede. Queste son le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre. Guide cieche, che colate il moscerino e inghiottite il cammello!

«Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché nettate il di fuori del calice e del piatto, mentre dentro son pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, netta prima il di dentro del calice e del piatto affinché anche il di fuori diventi netto. Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni di ossa di morti e d’ogni immondizia.
Così anche voi, di fuori apparite giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità» (Mt 23:1-5, 15, 23-28).

Il legalismo farisaico: quando è nato?

Le parole di Gesù descrivono chiaramente il comportamento legalista di molti Farisei e scribi del Suo tempo. Ma come e quando nacque il legalismo?
Il legalismo si venne a formare in certi ambienti giudaici intorno al II secolo avanti Cristo, cioè oltre mille anni dopo Mosè. Dio dette a Mosè una legge santa, la cui osservanza non doveva avere – e non ha – nulla a che fare con il legalismo.

Il noto studioso F. F. Bruce riconduce il movimento farisaico ad un’evoluzione successiva dei pii ebrei al loro ritorno in Giudea dopo la loro cattività babilonese durata settant’anni. «In un periodo in cui la devozione della comunità post-esilica in Giudea sotto l’impero Persiano fu tutt’altro che tiepida, gruppi di pii ebrei iniziarono ad incontrarsi per un incoraggiamento reciproco… Con una certa fiducia possiamo risalire alle origini degli ebrei ultraortodossi (Hasidim), che avrebbero giocato un importante ruolo nella crisi religiosa in Israele nel secondo secolo avanti Cristo…

«Gli Hasidim deploravano le incursioni dello stile di vita ellenistico nel Giudaismo sotto gli Ptolemi e i Seleucidi, ma la loro disapprovazione ebbe poco effetto… Quando l’Ellenismo mostrò un altro lato della propria natura, nel tentativo di Antioco Epifanie e dei suoi consiglieri di soffocare il “segno distintivo” della religione e della nazione ebraica, gli Hasidim rimasero fermi sulle loro posizioni e rifiutarono il compromesso.

«La loro resistenza non fu semplicemente passiva; molti fecero causa comune con gli insorti Asmoneani… Questa alleanza perdurò durante gli anni della guerriglia finché la libertà religiosa fu riacquistata e il Tempio ricondotto al puro culto del Dio d’Israele… Ma «l’alleanza fra gli Hasidim e gli Asmoneani fu completamente disgregata sotto il figlio Giovanni Ircano di Simone (134-104 A.C)…

«Fu dopo questo periodo che i Farisei iniziarono a giocare un ruolo importante nella storia; secondo la ricostruzione usuale degli eventi, si trattava degli Hasidim che ruppero con Giovanni Arcano…  venivano chiamati Farisei… in quanto evitavano rigidamente ogni cosa che potesse loro causare impurità cerimoniale. In effetti erano molto scrupolosi nell’osservare i rituali dei sacrifici di animali e persino ai rituali collegati alle leggi sul cibo, il sabato e simili. Purtroppo essi finirono con il dare più importanza ai rituali che alle leggi di Dio…

«Nel corso dei loro studi della Legge di Dio, come fedelmente trascritta da Mosé, essi crearono e svilupparono un sistema interpretativo per dare tradizione alla loro interpretazione orale della Legge che era stata dettata da Dio e scritta da Mosè. Con il passar del tempo essi fecero diventare la loro interpretazione orale tanto “sacra” quanto quella trascritta da Mosè. Generazioni successive di rabbini presentarono questa loro legge orale come se fosse parte di quella divina trascritta da Mosè. Quella divina veniva trasmessa dai copisti, quella orale veniva tramandata appunto a voce da una generazione all’altra. Così divenne “opinione comune” che le leggi trasmesse oralmente derivassero dalla legge trasmessa da Dio a Mosè. E fino ad oggi la maggior del Giudaismo crede erroneamente che la legge orale sia esistita fin dal tempo di Mosè e di  Giosuè, o dei Profeti, o fin da Simone il Giusto, uno degli ultimi sopravvissuti della Grande Sinagoga, ad Antigono di Soco, che a sua volta la riportò ad altri studiosi come Hillel e Shammai intorno al decimo anno prima di Cristo…

«I Farisei si organizzarono in confraternite o comunità. Lo storico Giuseppe Flavio stima il loro numero a 6.000, molti dei quali senza dubbio seguirono la loro direzione senza appartenere ad alcuna comunità farisaica. Inoltre, gran parte, se non la maggioranza, di scribi, studenti e insegnanti delle Scritture, aderirono ad una o all’altra scuola farisaica e diffusero le loro interpretazioni umane. Non tutti gli scribi però erano ‘scribi dei Farisei’ (Marco 2:16, Atti 23:9), altri interpretarono la legge secondo i principi dei Sadducei, ignorando la ‘tradizione degli antichi’ (Marco 7:3,5)…»

La «tradizione degli antichi» o «degli anziani» era concepita specialmente per mitigare i rigori di un’applicazione letterale della legge scritta, ora che la gente viveva in condizioni molto diverse rispetto a quando la legge era stata inizialmente promulgata. Ad esempio la legge di Esodo 16:29 «Nessuno esca dalla sua tenda il settimo giorno» avrebbe impedito, se interpretata in modo letterale, quasi ogni movimento dalla propria dimora il sabato, se «la sua tenda» non fosse stata interpretata alla luce di Numeri 35:5 per includere, mediante interpretazione umana, una distanza di 2.000 cubiti dalla propria dimora o da qualsiasi luogo una persona possa decidere di nominare come tale – il «limite del sabato» o «un cammin di sabato» (Atti 1:12)…

«La preoccupazione farisaica per la purezza cerimoniale comprendeva non soltanto la rigida separazione dai Gentili che erano fuori dal campo della legge… ma anche un senso di superiorità e un considerevole distacco da chi, fra i loro stessi fratelli giudei, non sembrava osservare le leggi sulla purità e della decima tanto scrupolosamente quanto loro» (New Testament History, 1969, pp. 69-81).

Il teologo William Barclay, a questo proposito, dà un esempio della mentalità farisaica: «La legge prevede che il sabato sia da onorare e per questo nessun lavoro dev’essere compiuto in questo giorno». Certamente si tratta di un principio di grande importanza, se non fosse che gli ebrei legalisti erano “fissati” con le definizioni e chiedevano: «Che cosa s’intende per lavoro?» Classificavano come lavoro qualsiasi azione. Ad esempio portare un peso il sabato era lavoro, ma cosa s’intende allora per peso? La legge orale degli scribi ne dà una spiegazione quanto mai complicata che va alla ricerca di sottigliezze di significato senza mai arrivare alla definizione esatta del termine.

In quest’ottica essi trascorrevano ore ed ore per decidere se, in giorno di Sabato, un uomo avrebbe potuto o meno sollevare una lampada per portarla da un luogo ad un altro, se veniva commesso peccato nel caso in cui un sarto portasse un ago nella propria veste, se una donna avrebbe potuto indossare una spilla o una parrucca, come pure se un uomo potesse portare denti o arti artificiali o se potesse portare in braccio il proprio figlioletto nel giorno di riposo.

«Questa per loro era l’essenza della religione, ossia un legalismo basato su norme che richiedevano comportamenti puramente cerimoniali e formali» (Daily Study Bible). Non c’è da stupirsi che Cristo fosse profondamente contrariato dai modi di fare degli scribi e dei Farisei!

Il legalismo di Saulo

L’apostolo Paolo ammise di essere stato un Fariseo osservatore delle «tradizioni degli antichi» quando si chiamava Saulo. Egli scrisse:

«Difatti voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quando ero nel giudaismo; come perseguitavo a tutto potere la Chiesa di Dio e la devastavo, e mi segnalavo nel giudaismo più di molti della mia età fra i miei connazionali, essendo estremamente zelante delle tradizioni dei miei padri. Ma… Iddio, che m’aveva appartato fin dal seno di mia madre e m’ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il suo Figliuolo» (Galati 1:13-16).

L’apostolo Paolo altresì affermò: «Io circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo d’ebrei; quanto alla legge, Fariseo; quanto allo zelo persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma le cose che m’erano guadagni, io le ho reputate danno a cagion di Cristo. Anzi a dire il vero io reputo anche ogni cosa essere un danno di fronte alla eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale rinunziai a tutte codeste cose e le reputo tanta spazzatura affin di guadagnare Cristo» (Filippesi 3:5-6).

Da notare in questo passaggio che l’apostolo Paolo rigettò la «tradizione degli antichi» o degli «anziani», confessando pubblicamente di essere stato educato sotto il legalismo farisaico, incline a  credere che la salvezza potesse essere acquisita rispettando scrupolosamente tutti i principi del giudaismo, cioè l’interpretazione ch’essi davano della legge di Dio.

Lo stesso apostolo sottolineò anche la tendenza del fariseismo legalista ad essere critici nei confronti di chi non si conformava alle loro interpretazioni e alle loro regole formali, senza fare invece essi stessi un’esame della propria coscienza in relazione alla coerenza. Paolo perciò ammoniva dicendo: «Tu che dici che non si deve commettere adulterio, commetti adulterio? Tu che hai in abominio gl’idoli, saccheggi i templi? Tu che meni vanto della legge, disonori Dio trasgredendo la legge? E così colui che è per natura incirconciso, se adempie la legge, giudicherà te, che con la lettera e la circoncisione sei un trasgressore della legge?» (Rom. 2:22-23, 27).

La SUPERBIA del fariseo e
il PENTIMENTO del pubblicano.

Quanto sopra descritto si riflette anche nel paragone che Gesù fa tra il comportamento di un fariseo tipico e quello di un pubblicano pentito. Un’altra forma di legalismo è infatti la mancanza di umiltà, l’atteggiamento di presunta perfezione e superiorità rispetto agli altri credenti.

«E disse ancora questa parabola per certuni che confidavano in se stessi di esser giusti e disprezzavano gli altri: ‘Due uomini salirono al tempio per pregare; l’uno Fariseo, e l’altro pubblicano. Il Fariseo stando in piè pregava così dentro di sé: ‘O Dio ti ringrazio ch’io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; né pure come quel pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quel che posseggo’. Ma il pubblicano stando da lungi non ardiva neppure alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, sii placato verso di me peccatore!’
«Io vi dico che questi scese a casa sua giustificato, piuttosto che quell’altro; perché chiunque s’innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato» (Luca 18:9-14).

Un’altra forma di legalismo:
tradizioni di uomini anziché leggi divine

Gesù Gesù Cristo denunciò anche l’esistenza di ancora un’altra forma di legalismo: quello di sostituire le leggi divine con le tradizioni umane.

«Allora si radunarono presso di lui i Farisei ed alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. E videro che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate. Poichè i Farisei e tutti i Giudei non mangiano se non si sono con cura lavate le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi, e quando tornano dalla piazza non mangiano se non si sono purificati con delle aspersioni. E vi sono molte altre cose che ritengono per tradizione: lavature di calici, d’orciuoli e di vasi di rame.
I Farisei e gli scribi gli domandarono: Perché i tuoi discepoli non seguono essi la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure? Ma Gesù disse loro: Ben profetò Isaia di voi ipocriti, com’è scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il cuor loro è lontano da me. Ma invano mi rendono il loro culto insegnando dottrine che son precetti d’uomini. Voi lasciato il comandamento di Dio, state attaccati alla tradizione degli uomini. E diceva loro: ‘Come ben sapete annullare il comandamento di Dio per osservare la tradizione vostra!“» (Marco 7:1-9).

Secondo Gesù Cristo, quindi, il termine legalista in senso religioso può anche riferirsi a chiunque annulla i comandamenti di Dio per rispettare interpretazioni e tradizioni religiose inventate dall’uomo. I farisei rimproverarono i discepoli di Gesù per aver questi preso delle spighe di grano senza seguire «la tradizione degli antichi», un modo legalistico di lavarsi le mani.

Gesù rispose loro rimproverandoli in questo modo: «Il lavarsi le mani minuziosamente più volte prima di mangiare o dopo aver frequentato la gente non purifica affatto la mente  dai vostri cattivi pensieri, preoccupatevi piuttosto di purificare la vostra mente» (Marco 7:1-8, 14-23, nostra parafrasi).

A scanso di equivoci, questo episodio non ci autorizza a mangiare qualsiasi cosa, come ad esempio topi, pistrelli, scarafaggi e funghi velenosi, senza pagarne le conseguenze. La verità è che Gesù non ha mai dichiarato che tutto ciò che esiste è cibo per l’essere umano, come riportato in alcune Bibbie alla fine del versetto 19. Infatti, la frase «E così dicendo, dichiarava puri tutti i cibi» non esiste nei manoscritti più antichi, ma è stata aggiunta arbitrariamente! E così la convinzione umana di poter mangiare la qualsiasi cosa è diventata tradizione! Non è anche questo legalismo? Lo è!

Se Gesù avesse veramente purificato la carne di tutti gli animali, allora potremmo mangiare di tutto senza ammalarci. Ma sappiamo bene che non è così. Ogni carne è pura in se stessa ma non ogni carne è cibo per l’uomo (Deuteronomio 14:3-21, Apocalisse 18:2, Genesi 7:1-5).

Eppure molti religiosi sfidano Iddio, nel nome di una pseudo “spiritualità superiore”, mangiando carni che Dio ha dichiarato impure per l’uomo, noncuranti del danno che, a lungo andare, procurano al loro corpo e al loro cervello. Questa usanza non è forse una sorta di “legalismo trasgressivo”? Molto spesso per ignoranza biblica, altre volte per deliberata opposizione all’autorità della Bibbia, in nome di una “falsa libertà” o di una presunta “superiorità spiritualità”. E’ un legalismo arrogante, peggiore di quello dei farisei del passato e, purtroppo, molto più diffuso nel mondo moderno.

Il fatto che l’apostolo Paolo abbia rigettato il legalismo farisaico, quindi, non dovrebbe condurre all’errata conclusione ch’egli fosse diventato un legalista trasgressivo, cioè contrario all’osservanza della legge di Dio. L’apostolo rinunciò solo a quelle prescrizioni orali farisaiche che “appesantivano il modo di osservare” le leggi di Dio.

Infatti, nelle sue epistole, Paolo combatteva quelli che vedevano nella grazia divina un esonero dall’osservare la legge di Dio o i comandamenti.
L’apostolo Paolo ammoniva scrivendo:

«Che direm dunque? Rimarremo noi nel peccato onde la grazia abbondi? Così non sia. Noi che siam morti al peccato, come vivremmo ancora in esso?… Che dunque? Peccheremo noi perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? Così non sia… Che diremo dunque?  La legge è essa peccato? Così non sia; anzi io non avrei conosciuto il peccato, se non per mezzo della legge… Talchè la legge è santa, e il comandamento è santo e giusto e buono» (Romani 6:1-2, 15; 7:7).

Paolo echeggiava quel che Gesù stesso aveva in precedenza insegnato:
«Non pensate che io sia venuto per abolire la legge od i profeti; io sono venuto non per abolire ma per compire [per completare o magnificare], poiché io vi dico in verità che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia dempiuto» (Matteo 5:17-18).

Gesù adempì la legge dei sacrifici animali sacrificando Sé Stesso come «Agnello di Dio» una volta per tutte, al posto di tutti, e ci chiede di essere a nostra volta dei «sacrifici viventi» (Romani 1:1), «affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non più secondo la carne, ma secondo lo Spirito» (Romani 8:4).

Riflettete. Se si sovrappongono ai comandamenti di Dio le norme degli uomini non è anche questo un tipo di legalismo?  Sì lo è. Ma perché l’osservanza del Sabato è visto come legalismo mentre l’osservanza della Domenica invece no? In Matteo 12:8 Gesù non ha forse detto di essere il «Signore del Sabato»? Forse Gesù era legalista? Certamente no. Ma scambiare il Sabato del Signore con qualsiasi altro giorno, non è forse tradizione umana, quindi legalismo? Certamente lo è. Cambiare o annullare i comandamenti di Dio per rispettare le regole del mondo non è forse legalismo? Si lo è, come lo è pure osservare le feste religiose inventate dall’uomo anziché le feste comandate da Dio nella Bibbia; vedi, ad esempio, la «Festa delle Capanne» (Zaccaria 14:16, Matteo 5:17, Apocalisse 21:3).

Il legalismo degli antichi farisei almeno si limitava ad “aggiungere” regole umane alla legge di Dio. E’ importante sottolineare, a questo proposito, che il moderno legalismo religioso è molto peggiore di quello antico, perché “sostituisce” quasi interamente la legge di Dio con norme e tradizioni di origine pagana, in netto contrasto con Gesù Cristo e l’intera Bibbia.

Noi crediamo di dover rispettare al meglio delle nostre capacità tutti i comandamenti di Dio, incluso il Sabato, le feste bibliche annuali e la distinzione delle carni pure da quelle impure, ecc., non perché questo nostro fare rende “superiori”. Sappiamo bene che la vita eterna non viene in virtù delle nostre opere umane o della mera osservanza letterale della legge (Efesini 2:9). Gesù ha però detto che per avere la vita eterna bisogna osservare i comandamenti di Dio (Matteo 19:17). Non come il giovane ricco il quale si vantava di averli osservati addiruttura fin da fanciullo. La sua osservanza era esteriore, non supportata dalla fede e dallo Spirito di Cristo.

Invece noi crediamo di doverci impegnare al massimo nell’osservanza delle leggi di Dio perché mossi dall’amore ch’Egli ha, per primo, sparso nei nostri cuori mediante il Suo Spirito, dopo averci dato la conoscenza di Suo Figlio Gesù e mossi a pentimento. Il nostro voler osservare i comandamenti di Dio riflette il nostro intenso desiderio di far vivere Dio spiritualmente in noi, affinché Egli operi in noi e le nostre opere siano le Sue, non più le nostre. Così la gloria va esclusivamente a Dio e al Suo Figlio Gesù. Alla luce di questo nostro Credo, è giusto etichettarci “legalisti”?
Quale risposta dare a questa accusa ingiusta?

C’è una grande differenza di attitudine fra chi osserva le leggi divine con tutto il cuore per non offendere Dio e chi invece crede che tali leggi non hanno più valore al punto da integrarle o sostituirle con tradizioni umane, molte delle quali sono a dir poco spiritualmente pagane.

Ricordate come lo stesso apostolo Paolo ammoniva quelli che credevano di poter fare a meno di rispettare le leggi di Dio:
«Non sapete voi che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’illudete [come fanno molti che si dichiarano “cristiani” ma di fatto non lo sono]; né i fornicatori [che violano il settimo comandamento], né gl’idolatri [trasgressori del secondo comandamento], né gli adulteri [contro il settimo], né gli effeminati [contro il settimo ancora], né i sodomiti [stessa violazione], né i ladri [contro l’ottavo], né gli avari [contro il decimo]… [non] erediteranno il regno di Dio» (Corinzi 6:9-10, Esodo 20:1-17).

Ricordiamo altresì l’ammonimento di Dio:
«Chi vince erediterà queste cose; e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliolo; ma quanto ai codardi, agl’increduli, agli abominevoli, agli omicidi, ai fornicatori, agli stregoni, agli idolatri e a tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda» (Apocalisse 21:8).

Conclusione

Riassumendo, possiamo affermare che, secondo la Bibbia, i veri legalisti sono quelli che “aggiungono” i loro precetti o preconcetti umani alla legge di Dio, facendola diventare un fardello pesante da portare. Costoro si credono eletti mediante la loro “obbedienza formale” alle leggi di Dio, senza riconoscere nella propria coscienza la necessità del vero pentimento e della salvezza per grazia di Dio. Essi travisano le leggi divine e lo scopo per cui Dio le ha dettate.

Ma la Bibbia chiama “ipocriti” [sostenitori di un legalismo trasgressivo] anche quelli che “tolgono” le leggi di Dio dal loro credo e insegnano sistematicamente pratiche idolatriche adeguandosi alle tradizioni del mondo.

Dio ci comanda di «non aggiungere né togliere nulla» alla Sua santa Parola, la Bibbia. Noi crediamo fermanente di essere salvati per fede e grazia divina, onorando Dio mediante l’obbedienza alle Sue leggi, perché queste sono l’unico punto di riferimento autorevole per distinguere la via del peccato da quella virtuosa dello Spirito di Cristo.

Infatti, noi crediamo che lo scopo della legge di Dio è semplicemente quello di farci conoscere che cos’è il peccato, dal quale dobbiamo allontanarci (Rm 7:7, 1Gv 3:4) se non vogliamo scadere dalla grazia e subire la «morte seconda» (Rm 6:23, Apoc. 21:8).

Noi crediamo che il meraviglioso scopo della fede e della grazia è, a loro volta, quello di salvarci mediante lo Spirito di Cristo in noi. Questa è sempre stata la nostra fede e visione dottrinale. Quelli che ci chiamano “legalisti” non ci conoscono bene o, se ci conoscono, sanno di mentire macchiandosi di ipocrisia.

Se il rispetto delle leggi divine corrispondesse davvero al legalismo, allora la descrizione che Dio dà della Sua Chiesa nella Bibbia sarebbe errata, perché leggiamo che «Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (Apocalisse 14:12).

Certamente Dio non ha mai cambiato i Suoi comandamenti e le Sue leggi spirituali, che, assieme alla fede in Gesù Cristo, identificano la vera Chiesa di Dio, ieri, oggi e sempre!

Lo «Spirito di verità» è dato soltanto a coloro che amano Dio osservando i Suoi comandamenti, e non a quelli che seguono i legalismi del mondo e annullano la legge di Dio (Giovanni 14:15-17). L’apostolo Paolo, in Atti 5:32, scrive: «Noi siamo testimoni di queste cose; e anche lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che gli obbediscono.» LBN

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